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Elefantentreffen 2003 Scheda - 1956. L’Elefantentreffen ha inizio negli anni 50 e ha preso questo curioso nome dal soprannome della famosa moto Zundapp-KS-601-Gespanne (utilizzata dalla Whermacht nell’ultima guerra). Tutto ha origine quando alcuni amici organizzarono un motoraduno di side-car Zundapp al quale nel corso degli anni si sono aggiunti altri motociclisti. - 1961 Istituzione della B.V.D.M. (BundesVerband Der Motorradfahrer e.V.) che accoglieva i propri partecipanti nel circuito tedesco Nurburgring. - 1988 Freddo, folla, fiumi di birra hanno spesso creato cocktail piuttosto esplosivi che hanno costretto a trasferire il raduno dai raffinati dintorni di Salisburgo (e dall’indimenticabile sfilata notturna sul circuito del Salzburgring sotto la neve!) a luoghi più selvaggi: il motoraduno viene quindi spostato in una valle sperduta vicino a Passau in località Thurmansbang-Solla. - Evento: ogni anno nei cosiddetti “giorni della merla” al week-end a cavallo tra fine gennaio e inizio febbraio Report L’Elefantentreffen è una di quelle cose che è difficile spiegare. Quando ci penso, mi viene in mente quella patch che talvolta si vede sui giubbotti dei motociclisti più fanatici: “If I have to explain, you’d never understand”. Ecco perché un raduno come questo può capirlo solo chi ama veramente la moto e anche un po’ le sfide con se stesso. Le origini dell’Elefantentreffen risalgono al dopoguerra, quando pochi appassionati con sidecar Zundapp e BMW residuati bellici raggiungevano il Salzburgring, per due giorni di follia collettiva. Nel corso degli anni la manifestazione si è spostata a Solla, nella foresta della Baviera, a poca distanza dal confine con la Repubblica Ceca e lì vi si svolge ancora, ogni anno, a fine gennaio. Parto da Milano venerdì mattina e alle sette la tangenziale è avvolta da una nebbia fittissima e la temperatura già sottozero: quando mi fermo al primo distributore sulla Milano-Venezia, devo raschiare via uno strato di ghiaccio dagli occhiali e dal parabrezza: iniziamo bene. Ci troviamo in tre: del Milano Chapter ci siamo io e Paolo Cattaneo, più un coraggioso guzzista che purtroppo dovremo abbandonare a Rovereto a causa di un problema al cardano. Ci aspettano 800 km che non saranno una passeggiata. Il viaggio inizia tra temperature polari e sporadici sprazzi di sole. Paolo con la sua inconfondibile Electra nera tiene una media che sfiora i 140 mentre la mia Road King 1340 fa un po’ fatica a stargli dietro. Al distributore di Affi, sull’autostrada del Brennero, seconda sosta. Qui si incontrano i primi motociclisti che come noi, si dirigono verso la Germania: le moto sono le più disparate ma con una netta prevalenza di BMW e moto da enduro, molte delle quali con ingombranti bagagli per tenda e camping e ingegnosi dispositivi fatti in casa per riparare mani e gambe dal vento gelido. Non si vedono Harley anche perché l’Elefantentreffen ha la fama di raduno “spacca moto”, un po’ per via del sale che viene cosparso abbondantemente sulle strade ghiacciate, molto aggressivo per le cromature, e un po’ per la facilità con cui si fanno dei capitomboli. Ometto la terza ragione, ingiusta, che dice che l’harlista non ci va, perché è un fighetto… Il programma prevede la prossima sosta al Brennero e questo tratto per me è sempre il più duro: non sei neanche a metà, non hai ancora mangiato e inizia veramente a fare freddo. La temperatura rotola subito sotto i meno sei: i miei paramani col pelo montati sul manubrio fanno il loro mestiere ma devo ugualmente cambiare i guanti, infilandomi delle muffole da snowboard che provvidenzialmente ho portato con me. Paolo invece, più tecnico, viaggia con guanti termici collegati con la batteria. Per la strada incontriamo un vecchio shovel-head fermo con l’impianto elettrico fuori uso, proprio a causa dei guanti termici che hanno sovraccaricato l’impianto. Finalmente valichiamo il Brennero. Siamo a quattrocento km da Milano, circa a metà strada, la neve è ormai ovunque e la gelata invade anche le corsie meno battute dell’autostrada, pericolosamente bianche. Il tratto da Innsbruck a Monaco è terribile: veniamo colti da una tempesta di neve, i fiocchi cadono larghi e fitti, il mio parabrezza diventa un muro bianco e viaggio con la testa di lato per poter distinguere la strada. La media si abbassa attorno agli ottanta e ad un certo punto perdo il riferimento della luce di posizione di Paolo. Procedo sentendo il retrotreno della moto che scarta ad ogni minimo cambiamento di assetto e di direzione, il casco jet aperto gronda neve fusa sulle guance. Gli occhi sono al sicuro grazie ad un miracoloso paio di occhiali regalo di un Ran de Milan passato, credo fosse il terzo. Ad un certo punto mi sembra di sognare, ma poi è vero: mi affianca una BMW con a bordo due enormi figuri di cui intuisco solo il sorriso irresistibile: non posso crederci, sono Beppe di Modena e Andrea Gottardi; quest’ultimo ha dovuto abbandonare la sua moto fermatasi a Vipiteno ed è salito con lui. Sono felice di questo incontro così inaspettato: con Beppe ho fatto l’Elefante dell’anno scorso ed è stato indimenticabile. Così come sono comparsi, i due centauri scompaiono, inghiottiti dai turbini di neve; li ritroveremo in albergo alla sera. Finalmente smette di nevicare e affianco Paolo: non serve neanche una parola e dopo tre minuti siamo davanti ad un gulasch fumante e una birra ristoratrice. Il tratto tra Monaco a Thurmansbang-Solla (dove si svolge il raduno) bisogna farlo in un colpo solo. Non è corto (oltre 160 km), ma la voglia di arrivare ti tiene su e poi non hai scelta: farsi beccare dal buio ancora per strada può essere molto pericoloso per le ghiacciate e il repentino abbassamento di temperatura. Dopo alcune decine di km perdo di nuovo Paolo: la mia media è più bassa della sua e mi assesto sui 120, di più non ce la faccio. Quando si va in moto a meno sette la resistenza fisica è limitata: dopo un’ora e mezza il male alle dita diventa irresistibile, non senti più i piedi e le ginocchia. Percorro le lande della campagna tedesca come in un sogno, svegliato solo dagli schizzi di neve dei camion: non so se è il freddo o la stanchezza ma a poco a poco vedo il cielo diventare rosa e turchino e all’improvviso calano le tenebre. Sono le cinque ed è buio, Paolo mi aspetta all’uscita dell’autostrada e insieme affrontiamo gli ultimi trenta km, fino all’albergo. Le stradine sono piccole e ripide, non sono pulite e il pericolo di cadute è altissimo. Procediamo molto lentamente e superiamo un gruppo di scooter che avanzano in fila indiana con i piedi giù, praticamente spingendo. La temperatura si è abbassata ulteriormente ed è sui meno otto. Come se non bastasse entro in riserva e i troppi romanzi di Jack London mi richiamano alla mente un branco di lupi che tiene d’occhio dietro la collina. Ma come per incanto, siamo arrivati all’albergo. E’ una festa: la hall è piena di motociclisti e ci si conosce tutti. Incontriamo vecchi amici e ci raccontiamo le nostre vicissitudini. Sentiamo che ci sono interi gruppi ancora dispersi e molti si sono arresi e sono tornati indietro. Quando sei lì non sei un turista, sei uno di loro. E la famiglia dei motociclisti dell’Elefantentreffen è davvero incredibile: tedeschi ubriachi, polacchi che cucinano e italiani che fanno foto, nessun telefonino, fiumi di birra e vin brulè. I sidecar (gli originali “elefanti” appunto) la fanno da padrone, anche perché sono gli unici che riescono a muoversi nella pasticcio di neve e fango del catino grazie alla doppia trazione. Innumerevoli moto da cross, tante vecchie moto inglesi da strada (ritroveremo due Norton che superammo mentre arrancavano dopo Monaco), improbabili Ural con le catene che trainano slitte cariche di legna. Tutto è pervaso da un forte odore di falò ed ammantato dalle fioche luci dei bivacchi. L’atmosfera vagamente post-atomica si stempera attorno ai fuochi, dove cuoce un maialino e dove a nessuno viene rifiutata una birra o un tazzone di caffè. Piccole tende canadesi con moto buttate davanti come cani da guardia. Moto che arrancano nel ghiaccio, cadono e subito dieci mani che le tirano su: capiterà anche a me, quando tenterò di tirar su dal catino la mia Road King e tante mani aiuteranno subito Paolo, Beppe e Andrea a sostenerla. Avrei ancora tante cose da raccontarvi, come quando facemmo partire la BMW di Beppe con la batteria a terra rimorchiandola con una fune attaccata alla mia moto, o i daini che ci guardavano passare nelle collinette di Deggendorf, o il bellissimo viaggio di ritorno via Svizzera, St Moritz e passo del Maloja ma credo che basti così: cosa si può aggiungere a proposito di un raduno dove nessuno ti guarda i colori, nessuno osserva critico il tuo ferro, nessuno fa differenza tra le giapponesi e le americane. Ma dove ti viene invece offerto un sorso di caffè caldo ed è facile parlare con persone mai viste prima e raccontare di come ce l’hai fatta, di come ci sei riuscito e di che fine avrà fatto quello che invece è ritornato indietro, si ritrovano vecchie conoscenze e si stringono amicizie inossidabili, si parla di donne, di imprese vere oppure un po’ inventate. |